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Noi siamo le rose

Roma, 30 novembre 2020 – NOI SIAMO LE ROSE è il nostro atto di denuncia e protesta formale – contenuto nel documento congiunto sottoscritto insieme ad ÀP, Via Libera, Cooperativa Diversamente, Collettivo Magville, Compagnia Ragli, Laboratori di Teatro VaBè, CSOA Spartaco, Cinecittà Bene Comune e Fusolab 2.0,  lanciato via social – contro l’ennesimo Dpcm che ancora una volta e senza una linea ben precisa fa chiudere le porte anche ai tanti, tantissimi spazi che svolgono una funzione sociale e culturale fondamentale per le comunità locali, costringendo chi vi opera a fermare attività e bloccare progetti di prossimità cruciali per il contributo che offrono in termini di miglioramento della vita delle persone che vivono una condizione di particolare disagio sociale, economico e culturale.

La totale assenza di indicazioni e misure specifiche per le tante realtà sociali e culturali, che si auto sostentano e che già in condizioni normali operano tra mille difficoltà, preoccupa. Ma preoccupa ancor di più il dover prendere atto di essere considerati semplicemente “superflui”, perché “non produttivi” nel senso più rigido e convenzionale del termine.

Eppure, lo dicono i numeri, l’esercito del terzo settore, quello che con le sue innumerevoli associazioni, onlus e organizzazioni occupa 1,14 milioni di lavoratori e 5,5 milioni di volontari, rappresenta un tassello essenziale del sistema economico e sociale del Paese, pari al 5% del Pil italiano: ben 80 miliardi di euro.

Tanto vale il mondo “non produttivo” che neanche questo governo vuole capire, aiutare e riformare fino in fondo. Tanto vale il mondo “non produttivo” che già in tante, tantissime situazioni, di fronte alle disuguaglianze e al loro acuirsi, ha dato ampia prova di solidarietà mettendo in campo ogni azione possibile per stare al fianco di chi aveva bisogno e andando a colmare con le proprie forze il vuoto lasciato dalle istituzioni.

Ecco il valore del mondo “non produttivo” con cui decisori politici e rappresentanti istituzionali giocano da sempre a fare lo scaricabarile: da un lato, delegandolo in maniera tacita a sopperire a quei bisogni primari e materiali che ogni amministrazione dovrebbe garantire (cibo, cura informale, educazione) e, dall’altro, costringendolo a coltivare ciò che nessuna amministrazione vuole coltivare: arte, cultura, socialità.

Ecco il danno e la beffa che non siamo più disposti a tollerare.

Per questo, da oggi in poi, rinunceremo a farci carico di nuove famiglie da assistere. Convinti che garantire cibo e cura informale non debba essere compito di chi per i motivi sopra è ritenuto superfluo, chiediamo urgentemente a chi ci governa e amministra di prendersi le proprie responsabilità e provvedere a prevenire il disagio delle famiglie, che inevitabilmente aumenterà, con misure migliori di quelle millantate fino ad oggireddito universale, diritto alla casa, medicina territoriale, educazione diffusa, soluzioni per la mobilità.

Senza sottrarci in alcun modo all’impegno civile richiesto in una comunità in profonda crisi, noi continueremo a prenderci cura delle famiglie prese in carico fino ad oggi e a tenere acceso il nostro e  altrui bisogno di cura, di arte, di socialità, di educazione nei confronti di bambini e ragazzi, di confronto, nelle forme in cui ci sarà concesso e per quello che sarà nelle nostre possibilità.